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Dove, Come e Perché è un Dovere Puntare a un Prodotto Etico?

Cristina Squarcialupi, Presidente Unoaerre Industries SpA e Consigliere Delegato di Chimet SpA, affronta il mainstream della “green jewelry”


«Oggigiorno si sente parlare spesso di economia circolare, ma nel 1974, era un’espressione inedita, per non dire incomprensibile. Eppure, c’era già chi la metteva in atto. Sto parlando di Chimet, nata da una costola di Unoaerre, dapprima come divisione interna all’azienda, e poi come realtà a se stante, tanto da diventare uno dei punti di riferimento del recupero e affinamento di metalli preziosi allo stato puro non solo a livello italiano ma anche internazionale. Se all’inizio si trattava di una necessità “di casa”, limitata agli scarti di lavorazione dell’oro e dell’argento per la produzione dei gioielli, col tempo si è intuito che quello del riciclo delle materie prime era il futuro cui erano destinati tutti. Così, si è iniziato a praticare questa strada anche in e per conto di altre industrie, quali per esempio quella orologiera, elettronica, automotive relativamente alle marmitte catalitiche, farmaceutica e petrolchimica, e persino per il settore odontoiatrico. Ad oggi, la Chimet ogni anno recupera e reimmette nel mercato un ingente quantitativo di metalli preziosi certificati LBMA e RJC: precisamente, nel 2018 l’ammontare è stato di circa 70 tonnellate d’oro, 295 d’argento, 13,80 di platino, 17,60 di palladio, 0,90 di rodio e 0,1 di rutenio. Non solo. Anche lo smaltimento dei derivati di lavorazione, effettuato secondo le norme vigenti, ha un risvolto eco, in quanto reintroduce in altri cicli industriali “nuovi” prodotti, come per esempio i sali sodici. Essi altro non sono che il frutto di un doppio utilizzo dell’acqua, utilizzata prima nel ciclo di lavorazione e poi impiegata per abbattere i fumi ad alta temperatura che fuoriescono dall’impianto. Una volta venduti, vengono a loro volta trattati per essere recuperati e il ciclo virtuoso si chiude. Unoaerre, azienda madre di Chimet, coltiva quindi da oltre 40 anni un animo eco-green, affrontando oggi un proprio bilancio di sostenibilità e approvvigionandosi da Chimet di metalli di recupero al 100%. Se si considera che per realizzare una fede – prodotto icona del brand essendo l’azienda aretina la produttrice del 70% delle fedi vendute ogni anno in Italia - ci vogliono 5 gr d’oro e che per estrarli si producono ben 2 tonnellate di scarti, si capisce quanto sia importante puntare sempre più all’ethical jewelry, quanto meno per evitare un ulteriore dispendio di risorse ambientali ed energetiche. Statisticamente, infatti, il 5% dell’energia consumata al mondo è usata per macinare rocce. Un dato a dir poco impressionante e che ci deve far riflettere»

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