THE TALK: Osare Rimanendo Italiani

Lanfranco Beleggia, Presidente di Bros Manifatture, punta sulla necessità di risvegliare la voglia di fare qualcosa di innovativo, sfidando i canoni e pensando al consumatore


Il gruppo Bros Manifatture è sempre molto attivo, sin dall'inizio dell'emergenza, con iniziative a sostegno della ricerca. Qual è la sua prima analisi di questo scenario? 
Questo evento è stata una sorpresa tale, che pochi scrittori con fantasia potevano immaginare un disastro così mondiale. E questa è una premessa dovuta. Il vero e grosso problema è il modo in cui cambieranno le cose. Innanzitutto il consumatore, cambiato, molto più diffidente, guardingo, ma al tempo stesso volubile. La prima cosa di cui ci siamo preoccupati è la parte economica dei nostri clienti, i pagamenti di marzo e aprile, che abbiamo spostato ai mesi successivi. Per il negoziante che vive di quello che incassa è stato un buon vantaggio perché il buon negoziante investe più di quello che ha e se mancano gli incassi la prima difficolta è questa. Noi abbiamo le spalle grandi quindi fortunatamente siamo in grado di gestire questa emergenza, ma le perdite saranno enormi, e questo ci farà faticare molto nei prossimi due anni, per tornare nelle condizioni di prima. 

Come vi state preparando per la ripartenza?
Ripartiamo in modo molto concreto, perché siamo riusciti a realizzare una serie di prodotti più in linea con questo momento, per colmare le anomalie che ci sono state. Mi faccia dire che di disastri ne abbiamo fatto tanti noi italiani. In primis non amare l'Italia come si dovrebbe. Noi siamo un Paese che vive bene anche con i suoi difetti, che sono anche i nostri pregi. A me piace l'Italiano che si reinventa, che tira fuori quella genialità creativa che appartiene al nostro popolo. Io per esempio ho vietato in azienda di usare nomi inglesi. Siamo Italiani e dobbiamo far capire al mondo che il nostro lessico è meraviglioso: la cultura che ognuno di noi ha già in sé quando nasce, va coltivata perché nessun altro Paese ha questa fortuna.

In che modo vi fate interpreti di questo patrimonio di eccellenza?
Il nostro essere italiani lo esprimiamo con i gioielli. Poi, se vogliamo guardare in un'ottica più ampia, vuol dire anche essere più umani, cercare di essere più uniti, non guardare più solo al proprio orticello. Ho investito tantissimo nel territorio, ho cercato di cambiare l'aspetto culturale del Paese in cui vivo. E credo che il gioiello rappresenti un veicolo privilegiato per questo messaggio, di rapporto umano che si allarga tantissimo.

La sua ricetta per far riprendere il settore orafo-gioielliero? 
Il mondo della gioielleria va ricostruito partendo dal consumatore, perché temo che si distragga e abbiamo il compito di riportarlo verso di noi. Bisogna motivarlo con messaggi continui, ricordare che la gioielleria fa parte della sua vita. Noi per esempio siamo andati avanti con tutti i social, in piena operatività sulla comunicazione e il marketing. Per quanto riguarda la produzione, siamo già pronti per riprendere, il magazzino è preparato e siamo solo in attesa che i negozianti siano operativi. Se riapriranno il 18 maggio, una settimana dopo partiremo anche noi con la merce. Abbiamo sempre fatto stock e per questo siamo pronti per qualsiasi richiesta. Alla gioielleria però manca un ingrediente fondamentale: deve osare. Il consumatore non smetterà mai di gratificarsi e noi dobbiamo essere pronti. I produttori devono uscire dai soliti canoni perché i nostri clienti sono molto più preparati dei negozianti e le aziende devono ascoltare il consumatore finale. Dobbiamo risvegliare la voglia di acquistare un gioiello, offrendo qualcosa di innovativo.

Ripartiamo anche dal punto vendita quindi?
Noi abbiamo oltre 4000 punti vendita in tutta Italia. Se devo fare una fotografia del negoziante, quello che posso dirle è che deve muoversi, aggiornarsi, usare internet. Ma è ancora un po' restio a certe innovazioni perché ha paura. Mio figlio segue il prodotto e quando siamo in fiera lo invito ad andare sempre a vedere i designer-artigiani. Questi signori sono più avanti di tutti noi. Hanno una creatività che osa perché devono distinguersi e lo fanno con idee eccezionali.

Usa, Asia, e-commerce?
In Asia stiamo andando avanti con l'e-commerce. Per vendere ai cinesi, per esempio, devi trovare la formula giusta, non puoi raccontare storie se non conosci il popolo a cui vuoi vendere. Stesso discroso per gli Usa, dove al momento è tutto fermo come in Italia. Riprenderemo con una velocità diversa, ma ci vorrà tutto il 2020 e metà del 2021.Tutto dipende dalla gente e da quando tornerà a fare gruppo. Finché non torna quella normalità non ci potrà riprendere a dialogare come prima. Tornando all'e-commerce, in Italia non vogliamo spingerlo troppo perché siamo molto presenti con i negozi fisici, ma in generale posso dire che nel mondo c'è una crescita costante. 
Nel 2040, in Cina si prevede che oltre il 50% delle vendita passerà dall'e-commerce, ma è un dato che dipende molto da una questione di territorio e di cultura. Ci sono città che non hanno tutto l'assortimento che il mondo offre. Invece, venendo alle fiere, resto un grande appassionato perché sono di vitale importanza. Ma mi aspetto qualcosa di più. È un po' come quanto sta accadendo adesso: ti fermi, esci dalla tua azienda e vedi qualcosa di diverso, soprattutto nei rapporti umani. 
La fiera è pubbliche relazioni e bisogna portarci sempre più gente possibile.

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