L'Impennata dei Lab Grown Diamonds

Il 2023 chiude all'insegna dei diamanti lab-grown sempre più oggetto del desiderio. Da LVMH, Fred, Tag Heuer, Pandora, il mercato è in fortissima espansione, come ci spiega l'analista Edhan Golan.


«Le vendite dei diamanti lab-grown sono passate da meno di 1 miliardo di dollari nel 2016 a quasi 12 miliardi nel 2022, con un tasso di crescita del 38% dal 2021 al 2022» - Paul Zimnisky

 

Diamonds for All! Recita così il claim scelto da Pandora per la campagna della sua collezione di gioielli con diamanti coltivati in laboratorio, presentata lo scorso settembre a New York. Con questo nuovo slogan, in occasione del party di lancio nell'omonimo store in Astor Place, quaranta blocchi più a sud del celebre Diamond District di Manhattan, il brand di Copenaghen ha voluto accendere i riflettori soprattutto sul concetto dell’accessibilità dei diamanti coltivati in laboratorio, lavorando anche al riposizionamento del marchio sul mercato che, entro fine anno, lo vedrà partner del British Fashion Council e sponsor dei Fashion Awards. «Per la maggior parte delle persone, ciò che desideri di più da un diamante è il suo meraviglioso "bling bling", la bellezza e tutto il significato che porta con sé», dichiara a BoF Mary Carmen Gasco-Buisson, Responsabile Marketing di Pandora. Il desiderio di avere un diamante dalla caratura più importante, unito al tema dell'accessibilità, sono indubbiamente due tra le principali leve ad aver contribuito a un'accelerata dell'industria dei labgrown, come ci spiega Edahn Golan, analista e ricercatore specializzato in diamanti: «È dal 2016 che assistiamo a una crescita dei diamanti creati in laboratorio, ma è da quest'anno che stanno raggiungendo l'apice. Nel 2018, con il lancio della linea Lightbox in diamanti lab-grown da parte di De Beers, sono stati in qualche modo tutti legittimati a considerare questo segmento di mercato come una nuova opportunità. I consumatori da una parte, ma soprattutto i rivenditori che si sono sentiti "autorizzati" a metterli in vetrina e proporli dunque al cliente. Il Covid ha accelerato ulteriormente questa crescita. Il modello smart working e quindi di relazioni gestite da remoto, dietro lo schermo di un computer, ha fatto sì che la gente scegliesse diamanti da laboratorio in modo da avere un gioiello dalla caratura più alta, perché intanto nessuno avrebbe potuto mai "verificarne" da vicino la provenienza. Inoltre, l'abbassamento dei costi di produzione, grazie a un miglioramento delle tecnologie, non solo ha portato vantaggi nella resa del colore, della purezza, delle dimensioni e dei tagli sempre più insoliti, ma ha fatto sì che le aziende potessero abbassare ulteriormente i prezzi retail, aumentando di conseguenza sempre di più il divario di valore con il diamante naturale. Per capire meglio, ecco un esempio: nel 2020 per un carato di diamante naturale, round cut, SI-VVS, si spendevano circa $6000 mentre per un lab-grown con le stesse caratteristiche poco meno di $4000, quindi un divario di prezzo del 39%. Dopo quasi 4 anni, mentre per un diamante lab-grown sempre da un carato oggi si spendono poco più di $1000, per uno naturale la spesa si attesta sempre intorno ai $6000, con un gap di prezzo che è arrivato al 79%! Fino al Covid chi acquistava lab-grown sceglieva la stessa tipologia di articolo che comprava con i naturali e l'impennata nelle vendite durante il Covid è stata la stessa per entrambe le industrie». Secondo l’analista Paul Zimnisky, le vendite dei diamanti artificiali sono passate da meno di 1 miliardo di dollari nel 2016 a quasi 12 miliardi nel 2022, con un tasso di crescita del 38% dal 2021 al 2022 e forti ripercussioni su tutto il mercato, dai brand più affordable fino all'alto di gamma.

«Nel 2020 per un carato di diamante naturale, round cut, SI-VVS, si spendevano circa $6000 mentre per un lab-grown con le stesse caratteristiche poco meno di $4000, quindi un divario di prezzo del 39%. Dopo soli 4 anni, mentre per un lab-grown sempre da un carato oggi si spendono poco più di $1000, per uno naturale la spesa si attesta sempre intorno ai $6000, con un gap di prezzo che è arrivato al 79%» - Edahn Golan

Da una parte dunque Pandora, che con questo riposizionamento eleva di due volte le sue prospettive di vendita nel 2023, con il prezzo delle azioni più che raddoppiato; dall'altra il colosso De Beers che, a fronte di un calo della domanda, taglia i prezzi dei diamanti naturali fino al 40%. Al centro il gruppo LVMH, che opta per diamanti lab-grown di colore blu per la neonata collezione dello storico marchio di gioielli Fred, e per diamanti da laboratorio rosa per il nuovo orologio Carrera Plasma firmato Tag Heuer, realizzato con tecnologia Diamant d'Avant-Garde. Chiarisce Edahn Golan: «Nel corso degli anni il mercato dei diamanti naturali - di cui gli USA sono i principali acquirenti - ha sempre subito oscillazioni. A un periodo di massimo è seguito uno di minimo e viceversa, a seconda dell'andamento economico dei Paesi o, talvolta, anche per scelte di marketing. Prendiamo per esempio gli anni pandemici e post pandemici, 2020, 2021, 2022. La prima reazione al Covid è stata, "devo fare economia". Subito dopo, "la vita è breve, devo sfruttarla al massimo", con un balzo incredibile nelle proposte di matrimonio - a seguito di un periodo di stop per tutte le celebrazioni - e conseguente ripresa fortissima e mai vista prima per la gioielleria in diamanti, rispetto ad altre categorie merceologiche. L'aumento eccezionale della domanda per questa tipologia di gioielli ha portato a una crescita della domanda pari al 50% solo negli Stati Uniti e del 40% a livello globale, con un cambiamento anche nella modalità di scelta della pietra, sempre più verso grandi carature. Quindi, se fino a gennaio 2020 la gente comprava in media diamanti da 0,8 carati, improvvisamente si è saliti al di sopra di un carato, con un aumento di dimensione del 1.520% e ovviamente di spesa. Ma dopo questa "grande abbuffata" di diamanti naturali, il ritorno alla normalità e le crisi geopolitiche che stiamo affrontando, l'industria del naturale sta rallentando nuovamente. Un'ultima osservazione sull'abbassamento dei prezzi dei lab-grown. Finché il prezzo era di poco inferiore al naturale, andava bene. Ma poi sono accadute diverse cose. Prima di tutto, all'inizio la redditività era molto alta, circa il 64% rispetto a un 34% di redditività per il naturale. Poi sono intervenuti altri fattori: un aumento della produzione, ossia un eccesso di offerta che, come succede, porta a un abbassamento dei prezzi; una diminuzione dei costi di produzione; un nuovo modo di proporlo al cliente come bene accessibile e consapevole; il bisogno di creare una differenziazione con il posizionamento dei naturali, con conseguente pressione su più fronti per rivederne marginalità e quindi prezzo. Ora non resta che vedere la reazione del mondo bridal di fronte a questa escalation».

Lab1


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