L’Elogio della Normalità

Dario Nicetto, socio, Export Manager e Responsabile Siliconi della Nicem di Senago, ci dà la sua visione allargata del settore produttivo


Queste settimane di chiusura, si sono tradotte in qualche nuovo progetto?
Certamente! Sin dai primi di marzo, abbiamo stretto un accordo con una nota azienda produttrice di apparecchiature di sicurezza e dispenser di disinfettante. E ora, qui a Senago abbiamo una nuova linea di produzione ad hoc, dedicata a questo settore cui fino a ieri non avremmo mai pensato. Abbiamo così potuto rifornire aziende clienti del gioiello o dell’automotive di tutte le dotazioni di sicurezza per ripartire. In un certo senso, nel nostro piccolo abbiamo contribuito al restart. Non solo. Per il settore gioielleria, abbiamo finalmente messo a punto due nuovi polimeri, due nuove gomme che presenteremo sul mercato a breve. Era tanto tempo che ci pensavo, ma poi ero sempre costretto a rimandare. In media, ci vogliono almeno due settimane in laboratorio, per 8 ore al giorno, prima di oter dire che un nuovo prodotto è pronto e degno del mercato mondiale. 

Quali sono i cambiamenti che da temporanei diventeranno definitivi?
Credo che nell’arco dei prossimi sei mesi si tornerà alla normalità, si vedono già i primi segnali, soprattutto qua da noi. Un po’ come dopo tutte le grandi emergenze e tragedie, la vita torna a scorrere come prima. Con questo non voglio minimizzare gli effetti, a tratti tragici e devastanti, che ha avuto e sta ancora avendo questa emergenza, ma passerà. Lo dice la storia. Purtroppo però, e lo dico con una profonda tristezza, rimarranno a terra tante aziende, quelle pmi, quei laboratori che sono da sempre la ricchezza dell’Italia e dei settori manifatturieri. Il “ben fatto” all’italiana viene da lì, da quelle aziende di famiglia che ora si trovano davanti conti da pagare e insolvenze da risolvere. Mi rifaccio alle parole che di recente ha detto Renzo Rosso: Diesel si appoggia su decine, centinaia di piccoli laboratori, senza i quali, anche la sua azienda non sarebbe più la stessa. Immaginare il futuro dell’industria italiana senza questa importante e straordinaria forza lavoro e senza questo vero e proprio microcosmo di creatività è impensabile. E’ a questo che dovrebbero pensare, e alla svelta, politici e banche: un’azienda con 2/3 dipendenti non ha la forza per resistere a 6 mesi senza introiti. 

Riesci a individuare un fattore positivo in tutto questo?
Non appena si è reso possibile riaprire le porte dello stabilimento, qui a Senago ho “riabbracciato”, si fa per dire, tutti i miei collaboratori, e ho percepito con forza che erano contenti di essere tornati, di rendersi utili e di riprendere ciò che, in alcuni casi, è il loro quotidiano da oltre 20 anni. Durante la chiusura, alcune aziende ci hanno chiesto di studiare e sviluppare nuovi prodotti, ho potuto avvertire che, nonostante tutto, c’era fermento nell’aria. Noi italiani non ci piangiamo addosso, semmai ci rimbocchiamo le maniche. Alcune idee sono diventate realtà, e ora che siamo a pieno regime, avverto un maggiore attaccamento al lavoro da parte di tutti, a quella normalità cui a volte, presi dai ritmi frenetici, abbiamo anche cercato di sfuggire. Spero che questa esperienza ci lasci questo: un senso di appagamento per le piccole cose, per quel quotidiano che alla fine ci dà serenità.

Qual è il panorama del settore produttivo pre e post lock down? 
La nostra fortuna è che la Nicem è un’azienda internazionalizzata da tempo, perché abbiamo due fabbriche produttive in Brasile e Messico, oltre che qui a Senago, e rivenditori e agenti in 65 Paesi, più 4 unità produttive all’estero in compartecipazione. Quindi, poiché il mondo non è stato in lockdown contemporaneamente, se il primo continente a chiudere è stato l’Asia, poi è toccato all’Europa e infine agli Stati Uniti, e ora è il contrario. Una sorta di onda che ha lasciato spazi vitali per inserirci e garantirci sempre un minimo di entrate. Ma non sono poi così tante le realtà che hanno questa situazione, anzi. Molti nostri clienti e contatti sono rimasti paralizzati, sia in Asia che in America. Diciamo che la “botta” l’ha subita di più chi lavora da sempre su un solo mercato o poco più. Da un paio di settimane la situazione in Italia si sta riprendendo, intendo a Milano, Valenza, Arezzo e Vicenza, tutti hanno riaperto e ricominciato l’attività, ma è ovvio che ognuno di noi deve fare i conti con un calo di fatturato, o quanto meno con un rallentamento o slittamento di ciò che erano certi lavori iniziati. In questi giorni, per esempio, abbiamo spedito merce in Francia, UK, Olanda, ma Usa…ferma! Poi ci sono Paesi che, nonostante il lock down, fanno a sé: per esempio, a Messico City, epicentro dell’epidemia, abbiamo tutto bloccato, mentre a Guadalajara e Leon le aziende non si sono fermate, e infatti non abbiamo mai stoppato la produzione. Poi, c’è da aggiungere che Nicem non è un’azienda a vocazione monoproduttiva. Sono cinque i macro settori in cui operiamo: gioielleria 20%, burattatura e vibrofinitura 20%, che ci permette di lavorare con aziende come Airbus, Ferrari, Porsche, solo per citarne alcune, ristorazione 20%, smaltatura epossidica 5%,  fashion 15%.

Soffermandoci sul settore gioielleria, quali sono i rumors su questa onda lunga?
In queste settimane, siamo sempre rimasti in contatto con rivenditori e clienti, e le previsioni, anche in base a quanto è successo nell’immediato in Asia dopo la riapertura, è che appena l’epidemia scemerà, ci sarà una montagna di lavoro per tutti. Soprattutto per il settore del lusso. Chi appartiene alla fascia di target medio-basso, in queste settimane ha fatto shopping online, ma chi compra oggetti e gioielli di lusso, è stato per forza inattivo. E’ ancora ridotto il mercato di coloro che fanno acquisti importanti online, e l’aspettativa di chi ci lavora è che a brevissimo si scatenerà una sorta di acquisto compulsivo, soprattutto da parte della clientela femminile. Se poi vogliamo evidenziare un trend, che si sta sentendo un po’ in tutti i settori, ci sarà sicuramente un aumento del mercato locale: per i prossimi mesi, chi comprerà, lo farà soprattutto puntando su prodotti del proprio Paese, e a ogni latitudineUn fenomeno che potremmo definire di “nazionalismo” economico, quasi una autodifesa dalla crisi che si fa avanti all’orizzonte. Così come per il turismo, gioco forza le problematiche legate agli spostamenti, ma lo stesso avverrà per l’acquisto in negozio. Forse, e per le aziende italiane potrebbe essere una fortuna, non sarà così per il cliente di lusso orientale, che notoriamente aspira al Made in Italy.


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