Dal Mokume Gane a nuovi metodi per i modelli di fotopolimeri 3D

La recente proliferazione di stampanti 3D è causa di criticità nelle fasi di fusione. James Binnion presenta un nuovo metodo di preparazione dei fotopolimeri, in grado di rimuovere resine non trattate


Un nuovo metodo per preparare modelli di fotopolimeri 3D per microfusione. In cosa consiste? «La grande diffusione di stampanti 3D a fotopolimero low-cost ha permesso a molti designer e orafi di introdurre modelli stampati in 3D nei loro cicli di produzione. Tuttavia, nonostante la grande varietà di stampanti e le numerose nuove iterazioni di resine fotopolimeriche calcinabili, resta sempre il problema delle reazioni avverse tra i modelli e la microfusione. Queste reazioni spesso provocano difetti sulla superficie dei pezzi stampati; pertanto o sono necessarie diverse rielaborazioni per ottenere una parte utilizzabile, oppure si ottiene uno scarto inutilizzabile. Numerosi sono stati i tentativi per trovare una soluzione a questo problema, ma con scarso successo. Il metodo che presento porta all'eliminazione o ad una significativa riduzione della reazione fotopolimero/microfusione nelle resine con cui l'ho testato. Il problema è che la resina fotopolimerica nelle stampe 3D non è completamente polimerizzata al termine della stampa e della post-elaborazione. La presenza di resina non polimerizzata è la causa della reazione avversa con la microfusione. Il processo che ho sviluppato rimuove la resina non polimerizzata e assicura la completa polimerizzazione del modello prima della microfusione. Il processo utilizza il vuoto e il calore per vaporizzare la resina non polimerizzata e completare la polimerizzazione del fotopolimero. Questo processo permetterà di avere modelli che con la fusione riprodurranno fedelmente la superficie della stampa 3D».

Chi può trarne vantaggio? «Il metodo è destinato ad una vasta gamma di utenti, dal singolo orafo per la creazione di un solo pezzo agli impianti per la produzione su larga scala. Si possono facilmente elaborare modelli di gioielli in scala, tuttavia più spessa è la sezione trasversale del modello, più tempo occorre per elaborarlo». Lei è considerato il “maestro” moderno del Mokume Gane... «Ho saputo dell’esistenza di questa tecnica leggendo un libro sulla creazione di gioielli quando ero al liceo, ma mi ci sono avvicinato circa 10 anni dopo, nei primi anni '80, dopo aver appreso che un gruppo di studenti universitari la stava sperimentando utilizzando delle forge a carbone per unire i fogli di metallo. Avevo letto di alcuni tentativi – di scarso successo – di sovrapposizione delle lamine con il Mokume Gane nel forno elettrico. A quel tempo non avevo la possibilità di utilizzare la forgia a carbone, quindi decisi di provare con il forno elettrico. Dopo alcuni tentativi falliti, nel 1983 trovai un modo per applicare la tecnica nel mio forno elettrico e ne rimasi affascinato. Da allora ho lavorato quasi esclusivamente con il Mokume Gane».

Che tipo di modelli si possono creare? «Una volta padroneggiato il processo di laminazione, la vera arte del Mokume Gane consiste nella creazione dei modelli nelle lamine metalliche. Esistono numerosi metodi. I laminati Mokume Gane possono essere utilizzati in quasi tutti i processi di lavorazione che impiegano fogli, barre e fili.

Come ha saputo rendere innovativo il Mokume Gane? Quando mi interessai ad esso, il Mokume Gane era una tecnica di oreficeria pressoché dimenticata. In quegli anni, un gruppo di artigiani negli Stati Uniti era interessato a provare tecniche che erano state messe da parte dall'industria della produzione in serie di gioielli. Molti di noi furono ispirati dal movimento Arts and Crafts nato tra la fine dell’'800 e i primi del ‘900 come reazione all'industrializzazione. È il contrasto tra la produzione industriale di massa e il lavoro manuale in cui ogni pezzo è un modello unico e presenta un design innovativo

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