Il Punto di Svolta

La storica del gioiello Vivienne Becker racconta i suoi anni Ottanta, tra gioielli emozionali, democratizzazione del diamante e collezioni per tutte le occasioni


  • Vivienne Becker

    Vivienne Becker

«Negli anni '80 sono state infrante tante barriere, aprendo la strada a una nuova libertà di espressione, sia per quanto riguarda il lavoro dei designer, sia per il modo di indossare capi e accessori. Il decennio ha aperto la strada alla percezione del gioiello come opera d'arte, a un'epoca di grandi conoscitori e alla ricerca dell'assoluto, del gioiello unico nel suo genere e della pietra one-of-a-kind. Sono stati anni in cui la gioielleria nutriva le emozioni, c'era una connessione molto intima e personale con la gioielleria, e che ha aperto le porte a diversi generi stilistici, dai gioielli in argento alla cosiddetta gioielleria "demi-fine" di oggi. Gli anni '80 iniziarono l'importante processo di democratizzazione del diamante, ponendo le basi per gioielli con i diamanti che andassero bene a tutte le età e per tutte le occasioni. In generale il decennio ha rappresentato un punto di svolta per l'intera industria della gioielleria, per diversi motivi. In primo luogo sono stati gli anni trionfanti della bigiotteria, del power dressing post-femminista - si pensi a Dallas e a Dynasty, alle spalline, ai capelli voluminosi - e degli accessori che venivano vissuti come un modo per iniettare di fantasia e individualità i guardaroba delle business women. È stato il decennio di Monty Don e Butler & Wilson, quando la fashion jewelry divenne sempre più innovativa, creativa, molto più interessante e stimolante di quanto riuscisse a fare la gioielleria preziosa. Anni in cui il gioiello moda non era più considerato di "seconda classe" o imitativo di un pezzo più prezioso, ma era spudoratamente e dichiaratamente finto, falso, veniva scelto e indossato da top model, star del cinema e reali: la principessa Diana era una cliente abituale di Butler & Wilson e indossava i loro gioielli anche per occasioni formali, mischiando sempre gioielli veri con gioielli finti. L'esuberanza della fashion jewelry dava la possibilità alle donne di esprimere la loro individualità, lo stile, il proprio spirito e il senso dell'umorismo attraverso gioielli insoliti.

Nel frattempo, la maggior parte della fine jewelry si era stereotipata, veniva progettata all'interno di una "torre d'avorio insulare e stretta“, disconnessa dal più ampio mondo del design, con poca o nessuna rilevanza culturale o di moda. In generale, i gioielli preziosi erano caratterizzati da quello che io chiamo "stilismo di superficie". In altre parole si trattava di "niente", non c'era narrazione, erano gioielli privi di significato e con pochissima emozione. Ricordo di aver passeggiato per Place Vendôme e di aver pensato che tutto nelle vetrine sembrava uguale: collane torque con pavé di diamanti, sempre e solo pavé... Naturalmente c'erano delle eccezioni: Bulgari fiorì negli anni '80, realizzando gioielli meravigliosi, come le collezioni Monete e Parentesi, e introducendo il concetto di gioielli modulari. E poi c'era un'Italia fiorente stilisticamente, che stava iniziando ad assumere il ruolo di guida nel design industriale e di prodotto».

 

Vivienne Becker 
Storica, giornalista e autrice di 29 libri cult sul jewelry design, è da più di trent’anni curatrice di importanti mostre, fra cui Jewels of Fantasy, sponsorizzata da Swarovski e in tour in molti Paesi. Recente il lancio di Vivarium, piattaforma per i più talentuosi designergioiellieri. @vivienne.becker.


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