Jerome Favier: La Riscoperta del Motivo

Centro sul cliente finale, concentrati sulla storia del marchio e lavora sull'identità del padre fondatore. Per Jerome Favier, Ceo di Damiani Group, questa è la chiave per ripartire


Quali sono le priorità del gruppo Damiani post lockdown e che leve dovrebbe attivare il mondo della gioielleria per affrontare la prossima stagione? Questa fase deve essere vissuta come un momento catalizzatore per andare avanti. Bisogna guardare sempre di più ai brand e alle maison che hanno una vera e propria storia, che hanno savoir faire, icone e famiglie forti alle spalle. Riappropriarsi del concetto di “made in” che è la vera forza dell’Italia, differenziandola dal resto del mondo. Coloro che puntano sulla generalizzazione avranno più difficoltà a riprendersi, perché sarà sempre più il cliente finale il vero regista. I punti di riferimento pre-Covid stanno scomparendo, il mondo è in ginocchio e la gente ha bisogno di nuove certezze, che nel nostro mondo sono rappresentati dai brand. Da questo punto di vista per Damiani avere una famiglia solida alle spalle da tre generazioni, una fabbrica e molte collezioni iconiche, Belle Epoque, Margherita, D.Side, significa avere la forza per una strategia che punta su autenticità e unicità. Il nostro challenge è mettere davanti al cliente questa verità, che ci aiuta poi con i nostri partner. Oggi il cliente ha una maturità da non sottovalutare. Noi siamo nel lusso per natura, non per strategia.

Quindi il cliente finale al centro delle nuove logiche di business... Certo, il cliente è il punto di partenza. Dobbiamo riportare fuori la reason whydel padre fondatore e puntare sui valori dell’origine del lusso. Damiani in questo è una realtà unica al mondo che, nonostante la dimensione familiare, sta consolidando la sua presenza sul mercato internazionale - oggi con 60 boutique - grazie a un accordo di partnership con la Yuyuan inc., controllata del gruppo cinese Fosun e proprietaria del marchio di gioielleria Lao Miao (fondata nel 1902, ha un fatturato di circa 3 miliardi di dollari e oltre 2000 punti vendita, ndr). Una joint venture di eccellenza che porterà la diffusione del made in Italy sul territorio cinese, attraverso i gioielli Damiani e, per la prima volta, anche delle linee Salvini.

Made in Italy e territorio... In Italia c’è coscienza dell’italianità perché il Paese è un punto di accoglienza importante, ma le potenzialità di sviluppo sono più alte della consapevolezza. Per quanto riguarda il valore del distretto, due le considerazioni da fare. Lato produzione, il distretto è fondamentale per il savoir faire che si tramanda di padre in figlio. Da un punto di vista di sourcing-produzione quindi, la realtà del distretto è fondamentale. Lato cliente finale invece, è più importante il concetto di made in Italy perché manca la conoscenza del valore di distretto produttivo.

Come si rapporta Damiani all’online? La digitalizzazione è una Formula Uno. Bisogna riconoscere che siamo tutti indietro e dobbiamo migliorare tanto. Noi lavoravamo già con l’online, ma quest’anno, visti i risultati straordinari con un fatturato da e-commerce che ha superato quello dello scorso anno, abbiamo deciso di investire ancora di più. A me piace pensare di lavorare in un sistema omnichannel, secondo il quale il retail non deve avere più paura della digitalizzazione. Ormai chi compra sul sito è già andato in negozio e viceversa. Bisogna lavorare in un’ottica di sistema evoluto in cui alla vendita si unisce anche l’assistenza per i partner, ai quali noi, per esempio, realizziamo anche siti, diventando provider di servizi fino al cliente finale.

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