Made in o Made of: la Doppia Anima dell'Italianità
L'evoluzione del concetto "fatto in Italia" tra il blasonato made in Italy e il suo neologismo made of Italy, coniato di recente dagli specialisti del marketing
Un'evoluzione necessaria quella che interessa il concetto di "Fatto in Italia", che non può prescindere dal valore della territorialità, ma al tempo stesso ha bisogno di ampliare il suo sguardo, la sua visione e la sua missione, per rispondere a logiche di mercato e di marketing globalizzate.
Ma quando e perché si inizia a parlare di "Made of"? Nel dibattito pubblico e accademico degli ultimi decenni, come risposta e reazione alle trasformazioni della globalizzazione e alla crescente delocalizzazione delle filiere produttive, il concetto di "Made of" comincia a farsi strada per aggiornare, integrare o in parte superare l’idea classica di “Made in”, ponendo l’accento su qualità come design, know-how, cultura, creatività, piuttosto che sulla sola origine territoriale della produzione. E se da una parte il "Made in" è più visto come marchio di origine e di qualità certificata, la sua naturale evoluzione grammaticale si lega a un concetto di marketing e di narrazione che valorizza la creatività e lo stile italiani indipendentemente dal luogo di produzione fisica. Entrambi contribuiscono tuttavia a costruire valore aggiunto, pur con esigenze comunicative e di mercato diversi nell'ambito di un'economia globalizzata: il "Made in Italy” crea un legame forte tra brand, territorio e comunità produttiva, rassicurando i consumatori sulla provenienza; il "Made of Italy" permette alle aziende di competere globalmente mantenendo l’identità italiana anche in supply chain delocalizzate, puntando di più su valori immateriali, storytelling e un paniere di simboli tutto italiano.