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Made in o Made of: la Doppia Anima dell'Italianità

L'evoluzione del concetto "fatto in Italia" tra il blasonato made in Italy e il suo neologismo made of Italy, coniato di recente dagli specialisti del marketing


Un'evoluzione necessaria quella che interessa il concetto di "Fatto in Italia", che non può prescindere dal valore della territorialità, ma al tempo stesso ha bisogno di ampliare il suo sguardo, la sua visione e la sua missione, per rispondere a logiche di mercato e di marketing globalizzate.

Ma quando e perché si inizia a parlare di "Made of"? Nel dibattito pubblico e accademico degli ultimi decenni, come risposta e reazione alle trasformazioni della globalizzazione e alla crescente delocalizzazione delle filiere produttive, il concetto di "Made of" comincia a farsi strada per aggiornare, integrare o in parte superare l’idea classica di “Made in”, ponendo l’accento su qualità come design, know-how, cultura, creatività, piuttosto che sulla sola origine territoriale della produzione. E se da una parte il "Made in" è più visto come marchio di origine e di qualità certificata, la sua naturale evoluzione grammaticale si lega a un concetto di marketing e di narrazione che valorizza la creatività e lo stile italiani indipendentemente dal luogo di produzione fisica. Entrambi contribuiscono tuttavia a costruire valore aggiunto, pur con esigenze comunicative e di mercato diversi nell'ambito di un'economia globalizzata: il "Made in Italy” crea un legame forte tra brand, territorio e comunità produttiva, rassicurando i consumatori sulla provenienza; il "Made of Italy" permette alle aziende di competere globalmente mantenendo l’identità italiana anche in supply chain delocalizzate, puntando di più su valori immateriali, storytelling e un paniere di simboli tutto italiano.

Un modo di vedere e vivere l'italianità anche come missione, per riprendere le parole e il pensiero espresso dal Viceministro alle Imprese e Made in Italy, Valentino Valentini, nel corso di una giornata organizzata da Altagamma a Roma, dedicata proprio a questo tema: «Ci sono due visioni del Made in Italy: c’è quella celebrativa, sulla quale molti si siedono, e c’è quella, come la vedo io, esortativa. L'eccellenza italiana non si improvvisa, si costruisce giorno per giorno attraverso azioni concrete. Leonardo da Vinci diceva: “I dettagli non fanno la perfezione, ma la perfezione non è un dettaglio". Ed è proprio nei dettagli, nella cura del prodotto, nell’esperienza in boutique, nella narrazione di storie che sanno unire passato e futuro che l’Italia vince. La nostra grandezza si manifesta nell’attenzione al particolare, nella capacità di vedere l’infinito in un bottone, l’eternità in una cucitura.
Guardando avanti, la nostra visione deve essere quella di un’Italia che pensa in grande perché il mondo ci vede così. Il nostro compito è quello di essere custodi e innovatori, di difendere e al tempo stesso innovare, di saper preservare l'essenza della nostra identità, ma saper abbracciare anche il cambiamento, capirlo, anticiparlo. Questo fa l’altagamma. Il Made in Italy non è dire quanto siamo bravi, ma è una missione che si traduce nella nostra capacità di trasformare la materia in bellezza, il lavoro in arte, l’impresa in cultura». Il focus sull’italianità come valore, reputazione, identità, come trasmissione del saper fare, dell'estetica e dell'eccellenza, rientra dunque in un nuovo perimetro narrativo, un racconto che si concentra sull'immaginario, sulla reputazione, punta su una visione dinamica dell'italianità nei mercati globali, nella progettazione e nel pensiero, anche in contesti produttivi multinazionali, andando oltre al luogo fisico di produzione.

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