Carlo Giordanetti: L'Arte Nobilita l'Orologio

Alla 59esima edizione della Biennale d'Arte di Venezia, Carlo Giordanetti, CEO di Swatch Art Peace Hotel di Shanghai, presenta la mostra "Faces 2022" e ci offre la sua visione del rapporto tra arte e business


  • Carlo Giordanetti

    Carlo Giordanetti

A Venezia per l'ultimo progetto "Swatch Faces 2022", che consolida la main partnership tra Swatch e la Biennale d'Arte, Carlo Giordanetti detiene da anni un ruolo attivo come responsabile dello sviluppo prodotto e design di Swatch, al fine di garantire un'identità unitaria e globale. Da sempre sinonimo di innovazione e cambiamento, supervisiona tutti i progetti legati al mondo dell'arte, in qualità di Ceo dello Swatch Art Peace Hotel di Shanghai, elemento chiave del brand. Lo abbiamo incontrato per capire qual è il rapporto tra arte e impresa e dove si trova il loro punto d'incontro. «Swatch ha sempre privilegiato la relazione con gli artisti, non tanto con l'arte fine a se stessa. E questo ci ha sempre differenziati dalle altre aziende del lusso, che hanno fondazioni e collezioni aziendali stupende, perché siamo nati come manifattura, come fabbrica ma, soprattutto, ciò che ci distingue è il fatto che a Swatch non piace ripetersi. A ciò che facciamo, vogliamo dare sempre tagli e angolature diverse. Questa visione si è concretizzata prima di tutto proprio con il lancio dell'Art Peace Hotel di Shanghai, come gesto tangibile che non voleva e doveva avere un ritorno economico. Un progetto nato e pensato come investimento di cultura, con l'intento di dare uno spazio fisico ad artisti di varie discipline e in arrivo da tutto il mondo. Nessun artista ha una responsabilità nei confronti del marchio, il suo lavoro è e resta indipendente. Poi può accadere che tra questi ci sia qualcuno con un'affinità particolare al brand, soprattutto tra coloro che lavorano con le nuove tecnologie o con temi legati alla sostenibilità. In questo caso, se portano uno sguardo diverso, innovativo anche nel modo di vivere la commistione tra arte e scienza, possono nascere delle belle sinergie. Dieci anni fa, per esempio, abbiamo fatto un progetto grazie a un artista spagnolo che era in residenza e già parlava di computer art. In quegli anni era ancora difficile da capire, ma il suo era un linguaggio molto affine a quello di Swatch, tanto che da un mero progetto estetico ne è scaturita una collaborazione che ha portato alla produzione del primo orologio di realtà aumentata. Ecco, se devo dire per cosa è importante oggi Swatch, è sicuramente per il suo modo di pensare, non per la sua storia. In generale, oggi l'orologio in sé ha assunto un altro tipo di valenza e la ragione per cui ci scegli è perché ti riconosci in questa voglia di trasgressione. Poi, altro elemento molto forte, è l'estremo individualismo di cui Swatch si fa interprete. Nessuno ne ha uno uguale all'altro e in questo, ciò che avviene nel nostro mondo è esattamente l'opposto di quanto accade nella moda. Il nostro modo rivoluzionario di lavorare con l'arte si concretizza anche nelle collaborazioni con i musei, dal Moma, che ci ha messo a disposizione opere di grandissimi artisti, fino al Louvre, al Centre Pompidou e al Rijksmuseum di Amsterdam. Mi manca però una collaborazione con un museo italiano. Un orologio con la Galleria delle Carte Geografiche ai Musei Vaticani sarebbe davvero un sogno».

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