Vicenzaoro Highlights, Settembre 2025: A Vicenzaoro, il "Ribelle" del Design Amato dalle Celeb
Fabio Salini, fra i protagonisti del talk di Trendvision di oggi, pubblica la monografia che celebra i suoi primi 25 anni di carriera
Abito sartoriale, camicia button down, pochette di seta sempre nel taschino. Un'eleganza classica, misurata, che ben si sposa con l’ovattato atelier in via di Monserrato a Roma, a due passi da Piazza Navona. L'immagine e il biglietto da visita di Fabio Salini non sono certo quelli di uno spirito "alternativo" e fuori dalle righe, eppure, il titolo della monografia appena pubblicata a firma della storica del gioiello Vivienne Becker vira decisamente verso un'altra direzione, Rebel Jeweller. Un libro celebrativo di 25 anni di una carriera di successo, di uno stile personalissimo che ha realizzato il sogno di chiunque scelga la via professionale, difficile e piena di incognite, dell'indipendenza: lasciare un segno indelebile nell'evoluzione di un settore, o meglio ancora di un'arte. L'incipit di Fabio Salini nel mondo dell'alta gioielleria avviene piuttosto tardi, a 24 anni, quando ha già in tasca una laurea in geologia, viatico per iniziare a lavorare nell'azienda di costruzioni di famiglia. Invece... Invece arrivano prima uno stage da Chanel e poi 6 anni da Bulgari, dove si occupa di acquisti, produzione, controllo qualità, apertura di nuove boutique. Ma non di design. Così, decide di mollare tutto, di entrare nell'impresa del padre, che nel frattempo ha aperto una base anche in Giordania, e di coltivare la sua vera passione solo per amici e parenti. Ed è grazie all'incontro casuale di sua cugina con la Regina Rania che tutto cambia di nuovo. Rania diventa la prima cliente Vip, e così le creazioni di Fabio iniziano ad apparire sui giornali, e addosso ad altre protagoniste del jet set. Ad ammaliare teste coronate e star di Hollywood è il suo tocco non convenzionale, che lo porta a tracciare una strada tutta sua. «Sin dall'inizio, mi sono sempre ribellato ai codici della gioielleria dei miei tempi. Mentre tutti cercavano di costruire un brand, ho voluto puntare fuori dalle rotte commerciali ed essere da subito poco accessibile. Ho definito un percorso molto più potente, che è quello di non sentirmi in linea con la direzione in cui va la gioielleria, e di volerla in qualche modo "combattere". Tutti parlano di creatività e ispirazione, ma in realtà oggi la gioielleria è solo espressione di denaro, è uno status symbol, quando invece i monili nascono come amuleto ed espressione di una forza divina, soprannaturale, di un potere che non è certo meno importante di quello economico. Poi l'uomo l'ha sovraccaricato di valori diversi che nulla hanno a che fare con il senso primigenio del gioiello. Oggi vige un sistema legato all'apparenza, alla comunicazione che si fa marketing, ma che poco sa del prodotto in sé». Salini il ribelle, dunque, che combatte la sua battaglia con strumenti anch'essi inaspettati. «Il mio messaggio è che se vogliamo far considerare la gioielleria una forma d'arte maggiore e non puramente decorativa, dobbiamo rispondere al principio dell’arte contemporanea, che è quello del concetto, perché è un'arte cerebrale, che si legge con l'intelligenza e non con l'occhio retinico. È quello che è successo da Duchamp in poi. Per esempio Lucio Fontana ha fatto la sua rivoluzione con un taglio, ma quel taglio significava tutto. Significa andare oltre la bidimensionalità e la raffigurazione della tela, aprendo una strada all'arte. Io lo faccio attraverso i materiali e i simboli evocativi, come i coralli o le zanne di facocero, che servono un po' per ritornare proprio a quel significato di amuleto, e soprattutto con il carbonio, un elemento molto maschile, futurista e lontano dall'oro. Ha il senso di una rivoluzione culturale molto forte, così come aver eliminato ogni elemento femminile per eccellenza, sostituito nei miei pezzi da catene, nodi, reti, che conferiscono al mio lavoro un aspetto che si avvicina all'arte contemporanea, specchio dei tempi in cui viviamo, dei disagi, dei cambiamenti».