Raffaello Sanzio e i suoi 500 anni di Bellezza

Dopo Leonardo, è il turno dei 500 anni dalla morte di Raffaello Sanzio. A celebrare la ricorrenza, la mostra delle Scuderie del Quirinale di Roma, dove alcune opere rivelano il link fra la sua arte e l’alta gioielleria del Rinascimento


La “Fase 2” ha portato alcune belle novità, come la riapertura dei musei, fra cui quello delle Scuderie del Quirinale a Roma, dove fino a 30 agosto sarà visitabile la mostra celebrativa dei 500 dalla morte di Raffaello Sanzio, avvenuta il 6 aprile 1520. Se la Gioconda indossasse gioielli, Alessio Boschi sarebbe attratto solo da quelli, e non dal sorriso che da cinque secoli fa discutere e versare fiumi di inchiostro. Il suo occhio di designer, sempre alla ricerca di spunti creativi insoliti, attinge spesso e volentieri a quell’infinito bagaglio storico, artistico e architettonico della cultura italiana. Quindi, quale miglior mentore poteva guidarci nell’interpretazione dei gioielli raffigurati nelle opere di Raffaello Sanzio? Ecco dunque la sua interpretazione de La Muta, La Velata e ne Il Ritratto di Maddalena Strozzi.

«Partiamo dal Ritratto di Maddalena Strozzi. Qui noto la straordinaria modernità con cui sono indossati gli anelli, in particolare quello sull’indice della mano sinistra, ma soprattutto quello a metà della prima falange dell’anulare destro, una moda tornata di recente in voga. Protagonista è il grande ciondolo in oro brunito e di forma geometrica, con due pietre quadrate inscritte in un tondo, forme tipiche del Rinascimento, che ricordano un po’ le fontane monumentali di Roma. La perla barocca, di notevoli dimensioni, sicuramente naturale e di provenienza mediorientale, non solo fa capire la ricchezza del casato Strozzi, ma anche quanto Firenze fosse il centro del commercio e delle arti, quella orafa in primis, che ebbe il suo fulcro nella scuola del Verrocchio, poi divenuto anche grande maestro di pittura per giovani quali Leonardo e Michelangelo. Altro tocco d’avanguardia, il semplice cordoncino di seta usato come supporto del ciondolo, che sembra quasi richiamare certe tradizioni etniche o asiatiche di epoche assai più recenti. Dettaglio che ritorna anche ne La Muta, ma in versione cordone modulabile, che ricorda un po’ quelli che venivano usati in Oriente per i pendenti di giada di grandi dimensioni, mentre l’anello, anche qui indossato sull’indice, nella manifattura evoca le wedding bands americane, stile David Yurman, per intenderci. Ne La Velata, il girocollo, forse di ambra, pare invece ispirarsi a un gioiello di foggia antica, di epoca romana, che a suo modo anticipa lo stile ottocentesco dell’oreficeria colta e “archeologica” dei Castellani. Delizio, infine, il cerchietto adorno di una perla accostato a quello che pare un rubino che fuoriesce dal velo. Un dettaglio appena visibile, ma che denota l’estrema attenzione all’armonia d’insieme».

Dipinto Raffaello

La Galleria Nazionale delle Marche a Urbino, le Scuderie del Quirinale a Roma, la Pinacoteca Ambrosiana di Milano, e poi la National Gallery di Londra…. Il calendario delle grandi mostre di spicco internazionale del 2020 era pronto, e focalizzato su un nome, Raffaello Sanzio. Ora che però, causa Covid-19, lo scandire del tempo sembra impazzito (e, di conseguenza, le mostre sospese ad interim), resta un dato di fatto: l’anniversario dei 500 anni dalla sua morte, avvenuta il 6 aprile 1520. Fra le opere che hanno travalicato questi cinque secoli, ce ne sono alcune che sembrano evidenziare un’attenzione particolare dell’Urbinate al gioiello. La gentildonna ritratta ne La Muta, conservata nel fiabesco palazzo ducale di Urbino, splendida nel suo abito rinascimentale segnato dalla catena a nastro annodato da cui pende una croce greca recante al centro uno smeraldo, simbolo di Resurrezione, mostra all’anulare sinistro un rubino, dono matrimoniale, e all’indice uno zaffiro, portatore delle virtù femminili di umiltà e castità. Ne La Velata, realizzata nel periodo della maturità trascorso a Roma, alla corte dei papi, la donna indossa invece una rara collana di granati tagliati à cabochon incastonati in oro, monile romano descritto con la cura filologica di un colto maestro quale era Raffaello. Infine, proprio su un gioiello, un’armilla, un bracciale indossato sull’avambraccio da La Fornarina, l’artista lascia la sua firma, Raphael Urbinas. Era il 1520, e da lì a poco, a soli 37 anni, sarebbe mancato.

Di Marta Paraventi 


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